Trovare casa a Londra non è stato difficile: il 18 Maggio ho messo ufficialmente piede in un appartamento di Clapham, al quinto piano di un condominio risalente agli anni quaranta. Condivido questa casa con due ragazzi, entrambi di poco più giovani di me.
Uno è sudafricano: quando ho letto l’annuncio sul sito di moveflat, nella mia vergognosa ignoranza me lo sono immaginato di colore. Discreto stupore alla vista di un ventottenne biondino con gli occhi azzurri: quando non ho trovato l’ingresso corretto al palazzo, mi è venuto a prendere in strada a piedi nudi noncurante dello schifo fossilizzato sulle scale: è stato in quel momento che ho compreso quanto avessi da imparare da quest’uomo. Per averlo al mio fianco ho combattuto la prima guerra in questa terra: un duello all'ultimo sangue con l’agenzia immobiliare. Un manipolo di filibustieri che se non hai mai vissuto a Londra richiede molte garanzie, traducibili beceramente in cospicue mensilità di affitto anticipato. Data la fondamentale importanza di quest’uomo, direi che di tale battaglia ne è valsa la pena: il suo nome è Jude.
L’altro ragazzo ha venticinque anni, è inglese, molto timido ed incredibilmente riservato: deciderà di aprirsi circa un anno dopo il mio arrivo, in seguito ad una delusione amorosa. Quando a mezzanotte starò uscendo dalla doccia per andare a dormire, dato che dopo cinque ore e mezza la sveglia suonerà nuovamente, avrà la brillante idea di chiedermi con tenerezza e con lo sguardo di chi ha bisogno di parlare: «Stai andando a dormire?»
Con ancora la shampoo in mano risponderò: «Sembrerebbe di no...»
«Avrei bisogno di parlare di quella ragazza che hai conosciuto.»
Ed io, che capisco le necessità di cuori infranti e calpestati, gli dirò: «Prendo il Tanqueray. Si chiacchiera meglio.»
Quella notte, come tante altre, dormirò meno di quattro ore. Il suo nome è Conrad.
A fine Ottobre non ho ancora trovato un lavoro.
Non pensate che io non l’abbia cercato e abbia passato il tempo a godermi Londra, i suoi abitanti e l’effervescente vita notturna: tutt’altro. Ho cercato ossessivamente lavoro nel campo della creatività come art director, fotografa e grafica: rispondendo ad annunci, spedendo emails con curriculum e portfolio ad agenzie pubblicitarie, fotografiche, di ricerca di personale creativo; portandoli anche personalmente presso gli studi. Ho progettato e stampato una piccola brochure da lasciare nei locali per fare comunicazione freelance. Ho bussato ad ogni porta: colossi della comunicazione, piccole agenzie sconosciute, nicchie avanguardiste, riviste e magazines, fashion brands, charities, truffaldine agenzie di casting, musei, teatri, emittenti televisive; non ho tralasciato nemmeno i pub sotto casa. Senza alcun risultato. Forse il mio curriculum è passato anche tra le mani di Sua Maestà.
Ho letto recentemente su una free press di un accountant che trovatosi senza lavoro ha spedito centocinquanta curriculum negli ultimi tre mesi. Inarcando un sopracciglio ho pensato che fosse un dilettante: io li avrò spediti in tre giorni.
Mi sembra di essere invisibile in mezzo ad una sorda moltitudine. Da sei mesi ho l’impressione che per le persone io sia soltanto un ostacolo da evitare. La situazione è insostenibile per l’aspetto economico e la stima nei confronti di me stessa: mi domando cosa io sia venuta a fare in questa terra che, a dispetto dei miei sforzi, non mi dà alcuna possibilità di integrarmi.
È la notte del 31 Ottobre 2008: per una strana coincidenza sono a casa da sola per tredici giorni, Jude e Conrad sono partiti entrambi. Per la prima volta mi sento profondamente sola e lontana da qualsiasi forma di contatto umano.
A piedi nudi, sul pavimento di linoleum appiccicaticcio e squarciato della cucina, guardo fuori nell'oscurità londinese: la finestra mi restituisce il riflesso di un attacco di panico. Una morsa glaciale dietro la nuca congela i miei pensieri: la tentazione di mollare si insinua sotto pelle, ma andare via ora significherebbe arrendersi.
Qualcosa, forse anche solo il mio orgoglio, mi impone di restare.
Fa freddo, fuori è buio, e dentro è ancora peggio.
Prego disperata affinché io possa ricevere l’ispirazione per potere cambiare questa situazione: chiedo espressamente un segno, una possibilità. Con i sogni fatti a pezzi chiedo un lavoro anche diverso da ciò che avevo in mente. Semplicemente un lavoro che possa piacermi e permettermi di restare a Londra.
Colpita in ogni punto vitale, finalmente mi arrendo: accartocciando un desiderio che si è trasformato in un incubo. È tardissimo: è stata una nottata terribile, trascorsa dialogando con i miei peggiori demoni.
Mi addormento nella mia alcova, sfinita come dopo una flagellazione, cullata dal canto impietoso delle sirene di Londra.
Commenti
Posta un commento
Lascia qui il tuo commento ;)